fedeWMrico

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27 Aprile 2017 fedeWMrico0

Il tempo e’ ciclico, secondo Giambattista Vico, ed anche il cinema, o meglio i cinema, non fanno eccezione.
Sparito quasi completamente all’avvento dell’home cinema, il cine-circolo risorge dalle ceneri del suo passato a Milano, via Seneca 6, a pochi passi da Porta Romana (ma già qualche avvisaglia c’è stata in giro per l’Italia, negli ultimi anni).

Il Cinemino , a Milano, è ,quindi, un cine-circolo, aperto da 10 febbraio 2018 (in un ex showroom, anche questo un segno dei tempi!), che nasce per iniziativa di gruppo di amici cinefili.

Il Cinemino – Foto da Prototypo, produttore dei pannelli acustici

Consapevoli di avere creato una “fuoriserie”, i neo-gestori definiscono il loro spazio:

“una piccola sala cinema e un bar: questo è Il Cinemino. Un luogo a metà tra sala di quartiere e hub internazionale, un punto di incontro per tutti coloro che amano la settima arte

ma anche:

un luogo d’incontro e proiezioni selezionate, in uno spazio creativo e accogliente dove incontrarsi e far nascere nuovi progetti”.

 


Questa iniziativa imprenditoriale è un prodotto di un crowdfounding con € 50.000 di plafond. Un modo intelligente di realizzare una sala con costi ridotti grazie agli standard antincendio inferiori, ad un minore investimento sull’allestimento e ad minor costo di proiettore e impianto audio.

Sono loro stessi infatti che descrivono la politica imprenditoriale sul sito: L’offerta de Il Cinemino sarà caratterizzata da quella cinematografica: film italiani, con preferenza per la produzione milanese, titoli in lingua originale con sottotitoli, documentari, cortometraggi, videoclip, VR, audiovisivo fuori formato, sperimentale, ludico e interattivo. In parole povere tutto quel cinema che non si trova nei circuiti tradizionali, proposto secondo una multiprogrammazione indirizzata a pubblici differenti in base alle fasce orarie e ai giorni della settimana. Addio al vecchio titolo unico in cartellone per una o due settimane: i pomeriggi a target bambini e ragazzi lasceranno il posto a serate sempre diverse dedicate a incontri con autori, documentari, rassegne, maratone e cortometraggi.”

Il Cinemino – milanoincontemporanea
Il Cinemino – milanoincontemporanea
Il Cinemino – dalla pagina facebook dei gestori

    

 

 

 

 

 

 

 

 


E’ questo il cinema del futuro? Non proprio. Come dichiarato (sempre nel sito) è un cine-circolo più che un cinema. Questo potrebbe essere UNO DEI cinema del futuro. Un cinema che limitato da una capienza assai limitata, con una componente finanziaria diffusa (il crowdfounding) e con una gestione collettiva, si pone in quella fascia marginale (il cinema off) che dà spazio alla ricerca, ai film in lingua originale e ai movimenti culturali emergenti, anche di quartiere (come loro sottolineano). Non è una iniziativa imprenditoriale che può sostituire il modello imprenditoriale prevalente attuale ma può integrarlo, ridando spazio ad un cinema che non lo ha più da tanti anni.

Proprio per la sua peculiarità, la sua limitatezza tecnica-architettonica (schermo piccolo, forma della sala “a corridoio”) non è una condizione ostativa al suo successo.

Perchè è potenzialmente attraente? Perchè nell’era del cinema on demand, dell’offerta indifferenziata, un gruppo di appassionati, con una propria visione del cinema, può offrire una lettura ed un’offerta critica del cinema che manca sia nella televisione generalista, sia in quella a pagamento e può offrire uno sguardo a produzioni ignorate sia dai grandi circuiti che, spesso, anche dalle principali sale d’essai. La mancanza di spazio per i film nelle sale è il problema dei problemi.

Non ultimo, il successo di questo cinema, può fondarsi sul legame (un approdo fisico di una rete culturale) con le produzioni a basso costo, che sfruttano le tecnologie digitali, in analogia a quanto è accaduto nella musica. Potrebbe essere il punto fisico di confronto con il pubblico per i giovani autori, un cassa di risonanza per questi tra cultori della materia.

Dipenderà dalla capacità dei gestori, qualità che in una sala di 75 posti fa la differenza tra la vita e la morte.


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29 Marzo 2017 fedeWMrico

I Parchi tematici sono un grande tema rimosso della cultura architettonica internazionale ed e’ semplice intuirne la causa. L’opera ed il pensiero dei piu’ grandi architetti del secolo sono permeati di un’utopia totalizzante, che trae origine dalle avanguardie dei primi decenni del secolo, alla quale si attribuiva il potere di cambiare il mondo attraverso una nuova dignità dell’abitare. Il mondo non è cambiato, anzi il paesaggio urbano è peggiorato, le utopie si sono dissolte, ma è rimasto radicato nell’animo dei critici dell’architettura una sorta di puritanesimo che ha impedito di valutare serenamente, fino a quando non è stato più possi­bile essere indifferenti, il fenomeno dei parchi a tema.

Il moderno ha sempre bandito la finzione negli edifici: una scala non può essere nascosta dietro una facciata ma deve essere dichiarata; così gli elementi strutturali, i materiali, i dettagli costruttivi, devono essere progettualmente coerenti e funzionali. “L’ornamento è delitto“. E’ stato perciò inaccettabile considerare come Architettura degli edifici di pura “finzione” in cui la struttura, i materiali, la forma fossero subordinati all’aspetto illusionistico e, paradossalmente, ottenessero quel successo e quell’amore che nessun capolavoro dell’architettura “seria” aveva mai ottenuto: Peter Blake infatti dichiarò che Disneyworld è la più interessante new town americana perché la gente paga per visi­tarla, cosa che non farebbe in nessuna delle ville radieuse di questo secolo. Ma se ci soffermiamo un istante sui parchi Disney (utile riferimento perché a questi si ispirano tutti i parchi a tema nati successivamente) troviamo applicate in essi, con estremo rigore, alcune tematiche dei CIAM (Congrès Internationaux d ‘Architecture Moderne), quali la distinzione tra traffico veicolare e pedonale e la valorizzazione dei centri storici. Dobbiamo così condurre un’indagine più approfondita per tentare di comprendere l’origine di questa formula. Anzitutto si può notare come essi siano costruiti senza alcun riferimento per il luogo che li ospita, ossia delle eterotopie che secondo la definizione di Michel Foucault sono una “sorta di luoghi fuori da tutti i luoghi e, tuttavia, effettivamente localizzabili“. Questa è l’idea che Disney perseguì costruendo Disneyland nel 1955: un luogo fuori dal mondo dove fossero realizzati tridimensionalmente, visitabili e “vissuti”, i mondi fantastici partoriti dalla sua fantasia. Questa loro caratteristica ha permesso la riproducibilità del “parco Disney” in tutto il mondo e la diffusione capillare della formula “parco con tema”. Disneyland è a tutti gli effetti una città di nuova fondazione e i suoi progettisti si ispirarono alle città gia­rdino tanto care alla cultura anglosassone. Possiamo notare un’analogia tra lo schema di Ebenezer Howard per le garden cities of tomorrow del 1903 e quello della prima Disneyland, anche se l’adattamento alle necessità commerciali proprie di quest’ultima lo rendono meno riconoscibile. Il successo dei parchi Disney è strettamente legato ai loro caratteri invarianti:

  • trasporti pubblici e camminamenti pedonali privilegiati
  • estromissione completa delle auto dalle aree interne
  • costruzione di tutti gli edifici in scala ridotta a 3/8
  • eclettismo degli stili ma uniformità nel carattere nostalgico
  • la main street, asse centrale su cui si innervano le diverse aree tematiche del parco, che riproduce un tipico “centro storico” americano.

Ma, a ben vedere, non possiamo definire queste proprio delle novità assolute, infatti molte delle soluzioni adottate sono mutate dalle grandi esposizioni dell’800: già nell’expo di Parigi del 1867 viene separato il recinto espositivo dal contesto urbano, viene eliminato il traffico veicolare e, contemporaneamente, istituito un servizio interno di omnibus. Anche i temi proposti, ovvero il progresso della tecnica divulgato come spettacolo e l’esotismo (attraverso la costruzione di padiglioni di lontani paesi) sono temi che ritroviamo nei parchi tematici. E’ nel carattere ottocentesco e borghese, da esposizione universale, che scorgiamo la prima differenza ideale con gli insediamenti abitativi del moderno, più rivolti ai problemi sociali.

L’avvento dei mezzi di comunicazione moderni mise in crisi la ragion d’essere delle grandi esposizioni: che senso aveva ricostruire l’atmosfera di paesi esotici, quando con un aereo si potevano  raggiungere  in  breve  tempo?  Dall’esperienza  di Disneyworld emerge una prima, sconcertante, risposta: nel secondo insediamento americano sorgono affiancati una copia del campanile di S. Marco e una rielaborazione di un palazzo rinascimentale fiorentino, senza alcuna preoccupazione dei costruttori per l’esattezza o la veridicità dei monumenti esposti, è importante solo la “miscela dei segni”. Se il turismo di massa si basa di continuo sul dejà-­vu, il parco a tema diviene migliore di una città vera perchè, grazie ad una attenta programmazione, si possono produrre più emozioni che nei “luoghi reali” e vengono eliminate quelle inevitabili interferenze dovute legate al mondo esterno. Una volta individuate delle sfere concettuali universali (folklore, fantascienza, natura, ecc.) è importante soprattutto rispettare l’approccio che ha il visitatore: informarsi di un posto, visitarlo e verificare che sia corrispondente alle informazioni in possesso e, con l’intervallo di brevi tappe, godere dei “luoghi comuni” del turismo di massa. Una seconda considerazione va fatta riguardo all’aspetto più propriamente scenografico comune a tutti i parchi preminentemente commerciali. Riduzioni di scala, prospettive aberrate e forzate, sono tecniche già presenti nei giardini manieristi e barocchi. Essi inducono il visitatore ad un’atmosfera di divertimento e meraviglia. Ma più in generale la riduzione di scala se non la miniaturizzazione è propria di ogni giocattolo. Osserviamo come nelle strutture di cui stiamo parlando  ricorrono alcuni elementi:

  • l’isolamento dalla realtà esterna
  • l’interdizione all’uso dell’auto, il maggior catalizzatore di nevrosi e aggressività nella realtà
  • il ricorso a tecniche illusionistiche e scenografiche e di miniaturizzazione.

Il fine di questi punti è il medesimo, calare il visitatore in una dimensione di gioco e riportarlo bambino. Nel caso specifico il mondo Disney punta sulla nostalgia di un’età dell’oro (la casa di Topolino e soci sembra una casa di provincia  durante il New Deal), piena  di ottimismo e di speranze. Il sogno americano è trasformato in categoria universale. In ultimo dobbiamo mettere in relazione la tendenza della società attuale a spettacolarizzare ogni sua attività. Il confine tra informazione e spettacolo è progressivamente sfumato. Forse per la difficoltà a filtrare l’enorme mole di informazione, forse per l’alto potenziale di coinvolgimento dei media, si è avvertita sempre più la necessità di legare i campi dell’informazione (educazione, notizie, servizi, cultura) a forme proprie dello spettacolo, per ridestare l’interesse degli utenti. I nuovi musei, cosiddetti interattivi, attingono a piene mani dall’edutainment, sintesi  delle  due parole education e entertainment, che rispettivamente indicano le aree  dell’educazione  e dello  spettacolo in senso ampio. I parchi sono le strutture fisiche più avanzate nell’ambito della nuova comunicazione tematica, perchè sono concepiti per attirare grandi bacini di utenza e possono attivare risorse straordinarie. La sfida turistica e culturale di questi anni si sta giocando sulla capacità di coniugare la comunicazione,  in senso ampio, al consumo  di massa a scala planetaria. La sfida degli anni a venire si giocherà sulla rivoluzione telematica e sui viaggi virtuali, ma quello sarà argomento per altre riflessioni .